martedì 27 ottobre 2009

Quanti anni mi dai?

Milano è sempre piena di sorprese. La sopporto a malapena, ma riesce sempre a mettermi di buonumore, soprattutto, quando il cielo è limpido e il clima stranamente mite. In nessun altro posto mi è successo di rimorchiare dieci minuti dopo essere scesa dall’aereo, di essere aiutata quando in metropolitana mi sono cadute le dodici riviste comprate in aeroporto per non annoiarmi durante il volo, sebbene piuttosto breve, o di ricevere un sorriso dalla signora che condivide con me l’ascensore. Per non parlare degli eventi: c’è sempre un milione di cose da fare ed è davvero difficile sceglierne una.
Lunedì, ore 13:25. Stavo percorrendo corso Matteotti, diretta verso piazza San Babila, per incontrare Tommaso, il mio amico gay milanese con cui avevo un appuntamento per pranzo. All’incrocio con via San Pietro all’Orto sono passata davanti al futuro store di Abercrombie & Fitch, che sarà inaugurato giovedì. Come non notare una dozzina dei famosi “A&F hot guys” che rappresentano lo stile e l’essenza del marchio americano, rigorosamente a torso nudo. Ma ancora più singolari erano le donne, attratte da questi bei ragazzi, che si facevano scattare delle foto al cellulare insieme a loro: non solo ragazzine 20enni, come si potrebbe pensare, ma anche 30enni e oltre.
Così, mentre camminavo per raggiungere la mia destinazione, non potevo fare a meno di chiedermi: ma in un mondo veloce come quello attuale, in cui i 30enni vorrebbero fare i 20enni e viceversa, hanno ancora significato le differenze d’età? Oppure le “fasce d’età” sono soltanto l’una la rappresentazione di quello che vorrebbe essere l’altra?
Domenica, ore 22:45. Dopo qualche settimana di assenza da Milano, nonostante avessi altri tre o quattro inviti appetibili, mi sono lasciata convincere da Tommaso ad andare alla serata “Join the Gap” del Borgo del tempo perso. Non riesco mai a dirgli di no: mi sono preparata in tutta calma, sapendo che, come sempre, sarebbe arrivato in ritardo. Tommaso è una forza della natura, 34 anni, moro, capelli mossi, occhi verdi magnetici, spalle larghe e sensuali, sedere rotondo, troppo bello fuori per essere un architetto e troppo bello dentro per essere ancora single. Sapevo che quella sera mi sarei divertita a ballare come una pazza. Quando un amico comune me lo presentò, parecchi anni fa, ad una festa, dissi a me stessa che, se non fosse stato gay, non me lo sarei lasciato scappare per nessuna ragione. Adesso la nostra intesa è talmente forte che non cambierei il nostro rapporto di amicizia, un’amitié amoureuse. Se, talvolta, ridiamo del fatto che sembriamo una coppia perfetta senza sesso e che io sia l’unica a salvarlo dalla monogamia, altre volte mi chiedo perchè non si sia ancora innamorato o, come dice lui, non abbia ancora provato quella sensazione di vuoto, di felicità e di disperazione mescolate insieme. Il refrain “So many men, so little time, how can I choose?” andava bene a Ibiza a 20 anni. Ma a 30?
Ancora elettrizzata per la serata appena trascorsa, continuavo a pensare al fatto che ogni fase della vita ha un suo perché: a 30 anni non si può essere come a 20 e nemmeno dovremmo desiderarlo. Quali sono le attrattive di quell’età? Niente rughe, muscoli tonici, l’eccitazione per le nuove esperienze e la sensazione che la vita sia piena di infinite possibilità. Ma ci sono anche uomini sessualmente inesperti, imbarazzanti errori di abbigliamento e quella giovanile inconsapevolezza di essere sul punto di vedere i propri sogni e le proprie illusioni infrangersi. Si ha così tanta fretta di crescere e di farsi notare, tanta voglia di piacere e di sentirsi guardati, per sapere di esistere, che, alla fine, non si riesce mai a parlare con un uomo senza farsi corteggiare. A quest’età, si sa attraverso la pelle di essere vivi e, se si è soli, si viene sopraffatti da un’angoscia senza nome. Forse, nel tentativo di evitarla, Tommaso ha ceduto alle attenzioni di... quel tipo di cui non ricordo il nome con il quale è andato via quando ci siamo salutati. L’ho subito battezzato “occhietto furbetto”, un ragazzo con capelli e occhi castani ma con lo sguardo molto penetrante. Probabilmente, Tommaso non riesce a lasciarsi alle spalle i suoi 20 anni ed è per questo che, con lui, riesco a credere che non siano passati neanche per me. Il gap generazionale non mi era mai sembrato così ampio. Ho capito, però, che se a 20 anni non si è ancora capaci di scegliere l’uomo giusto, a 30 lo si riconosce a colpo d’occhio. L’importante è esistere per una persona sola.

martedì 20 ottobre 2009

More than twist in my sobriety

A volte la vita è davvero strana. Il sesso a pagamento è una delle attività che non ha risentito della congiuntura economica negativa anzi, paradossalmente, per un motivo o l’altro, oggi è un argomento prepotentemente sulla bocca di tutti. L’assenza di crisi è dovuta, probabilmente, al fatto che la domanda è sempre molto alta e il suo mercato fiorente: giovani alla prima esperienza, uomini che vogliono cambiare donna quando desiderano senza mai rinunciare, mariti insoddisfatti, adoni mancati, maschi che rivendicano un ruolo di potere o, magari, solamente, evasione, di intrigo, di gioco.
Un sabato sera, qualche mese fa, io e le mie amiche Angelique ed Estelle eravamo ad un party in casa di amici in centro per festeggiare un traguardo professionale in grande stile. Nel momento in cui stavo pensando di andarmene, stanca, annoiata e sola, Estelle stava flirtando con il fratello del padrone di casa e Angelique era già arrivata accompagnata, mi si è avvicinato un ragazzo, Eric, 31 anni, dal fisico scultoreo con una scusa talmente banale che nemmeno ricordo.
Dopo due chiacchiere disimpegnate, l’argomento è caduto sul tema del lavoro. Mi ha confessato candidamente di fare l’escort. Vedendomi trasecolata non poco e dubbiosa di non aver capito bene si è affrettato a precisare ironicamente: “Ma non sono in servizio”. Poiché, però, era un conversatore amabile e divertente ho accettato di buon grado l’invito a prendere un cappuccino il giorno dopo. In vena di confidenze ho appreso quella domenica mattina e in qualche piacevole incontro successivo cosa potesse spingere un ragazzo così a fare l’accompagnatore: “Sono un appassionato di blind date. Mi piace conoscere per non rimanere solo. Non cerco partner diversi ogni sera. Ma, quando incontro, capisco subito dove si va a finire, 9 su 10 vogliono quello e, quindi, vedo di arrivarci il prima possibile e poi tornare a casa. Magari perchè posso parlare con qualcuno al quale sono più legato della persona con cui ho appena fatto sesso”.
Ho capito subito che si stava riferendo a me. Da un po’ di tempo, infatti, aveva la singolare abitudine di telefonarmi la sera quando rientrava. Gli piacevo fisicamente ma, soprattutto, caratterialmente. Allora non ho potuto fare a meno di domandarmi: quanto i condizionamenti esterni (lavoro, religione, ideologia politica, status sociale, altezza, lunghezze) possono influire su qualcosa di incondizionato come dovrebbe essere l’amore?
Nel caso di Eric, sarebbe impensabile immaginarlo come compagno, abituato com’è, con il suo stile, a mettere a proprio agio la persona che si trova con lui, a farle credere che si stia trovando benissimo, che gli faccia provare sensazioni uniche quando, molto spesso, sta pensando solo a cosa manca in frigorifero.
Osservandolo, si sarebbe potuto pensare che avesse tutto: bellezza, fascino, eleganza, savoir-faire, frequentazioni raffinate (le stesse “conoscenze” occasionali che, secondo Florent, le persone come Eric in realtà detestano)... invece era, semplicemente, un ragazzo solo che avrebbe voluto degli amici con cui parlare, con cui uscire o che facessero parte della sua vita. Era un uomo che non riusciva più a staccarsi dal meccanismo di finzione nel quale, inconsapevolmente, si era trovato sempre più coivolto.
Una sera ho capito che avrebbe voluto fare l’amore con me, forse per la prima volta, forse per l’ultima. Mentre rientravo a casa in taxi mi trovavo a riflettere su come le esperienze della nostra vita siano come tanti tatuaggi indelebili. E, sebbene continuassi a trovare esilarante di avere detto no ad un escort, in quel momento, ho realizzato che non avrei voluto provare le sue stesse sensazioni. L’amore non ha un tempo. Stavo ripromettendo a me stessa che non mi sarei lasciata usare, neanche mentalmente. Non avevo detto no all’escort, avevo detto no all’uomo. Non avevo detto no al suo lavoro, avevo detto no al suo cuore.

mercoledì 14 ottobre 2009

Dose minima giornaliera

L’altro giorno di mattina presto, in bilico tra il sonno e la sensazione di noia mattutina tipica delle giornate piovose quando devi assolutamente alzarti anche se vorresti solamente stare a letto per continuare a dormire nel caldo tepore di una maxifelpa sulla quale campeggia la parola “Chicago” a lettere cubitali e che copre più di metà del corpo, stavo facendo colazione nel solito café e sfogliando senza particolare attenzione una rivista colorata e invitante. L’occhio è stato subito attirato da una scritta: “Dose minima giornaliera”.
Senza fare troppo caso al fatto che, proprio nello stesso momento, stavo consumando la mia “Dose minima giornaliera” di caffè, indispensabile per assumere un aspetto decoroso, essere gentile e disponibile e avere una soglia di attenzione che non fosse prossima allo zero, ho continuato nella lettura: “Non è un peccato di gola, è una necessità. Il cacao fa bene, tira su di morale, protegge e sostiene nei periodi di stress. Le confezioni monodose sono da tenere sempre in borsa, per essere consumate nei momenti più difficili. Un particolare non da poco: le confezioni contengono la dose minima giornaliera (1 euro). Nulla vieta di consumarne di più. Non per altro, ma quando c’è di mezzo la salute...”.
Già durante i miei anni universitari circolava il mito secondo cui il cacao aiuterebbe la memoria, quello stesso cacao che io e le mie amiche, non avendo problemi di linea, ingurgitavamo senza vergogna.
Ma qual è la “Dose minima giornaliera” di cui abbiamo inconsapevolmente bisogno ogni giorno? Il caffè per chi ha una ripresa lenta o, magari, per distrarsi e fare una pausa, i carboidrati per i fanatici della dieta e della palestra, il sesso per appagare il corpo o la mente, un vestito nuovo di Prada per alzare il proprio livello di autostima, un po’ di svago per evadere la monotonia della routine quotidiana, un po’ di approvazione per compiacere il proprio ego? E la fantasia? Qual è la “Dose minima giornaliera” della fantasia?
Davanti al mondo dobbiamo essere sempre i più felici, i più belli, i più giovani, i più rampanti, i più divertenti, i più efficienti, i più sorprendenti, i più innamorati, i più innovativi. Dobbiamo scegliere il vestito giusto, l’amico giusto, il locale giusto, la frase giusta, il profumo giusto, i cereali giusti. Quanta fantasia ci serve per recitare il nostro ruolo giornaliero? Quando vogliamo fare colpo dobbiamo sembrare accattivanti, esaltare con noncuranza i nostri pregi e sdrammatizzare i nostri difetti, concedere ma non troppo, farsi conoscere evitando i dettagli, giocare d’astuzia e perchè no anche bluffare, se la posta in gioco è alta. Ma se anche per conquistare chi vorremmo al nostro fianco o nel nostro letto dobbiamo evitare la noia, la banalità e la scontatezza – quasi fossero la cosa che mai vorremmo augurare a noi stessi, praticamente come acquistare in saldo un pezzo difettato e non restituibile ­– la trasgressione, oggi, è diventata essere se stessi in qualunque circostanza? Probabilmente, questo è il vero lusso dei tempi moderni.

martedì 6 ottobre 2009

Mirror, mirror on the wall: who’s the fairest one of all?

Tutto è iniziato circa dieci giorni fa quando alla mia amica Angelique è capitato tra le mani un volantino sul quale spiccava, ammiccantemente colorato, il titolo “Corso di seduzione: Sviluppa la tua abilità seduttiva”. Curiosa come solo lei sa essere e non meno intrigata, si è subito precipitata in rete per consultare il sito web indicato. Il corso, naturalmente, si è trasformato nell’argomento clou della nostra conversazione disimpegnata e irriverente del giorno successivo mentre pranzavamo in centro. E, del medesimo tema, ci siamo ritrovati a parlare quella sera io e Florent in attesa che ci consegnassero a domicilio la nostra cena giapponese durante la quale mi ha reso edotta della strategia seduttiva adottata da un suo amico qualche giorno prima: era in metropolitana, tra Rue de la Pompe e Saint-Augustin quando ha visto un ragazzo carino, apparentemente suo coetaneo, che lo stava fissando. Ogni volta che l'amico di Florent alzava gli occhi per guardarlo l’altro fingeva noncuranza. Cinque o sei occhiate dopo, però, gli sguardi si sono incrociati e per entrambi è stato difficile trattenere un sorriso divertito. Da qui alle presentazioni il passo è stato breve e quindici minuti dopo stavano amabilmente sorseggiando un caffè e assaporando quattro madeleine in un locale poco lontano da Place de la Madeleine, dove erano entrambi diretti.
Secondo Florent, quindi, i corsi di seduzione sarebbero assolutamente inutili, poiché è convinto che la persona seduttiva sia quella che è consapevole del proprio valore e delle proprie caratteristiche, indipendentemente dalle conquiste fatte. Malgrado il mio scetticismo rispetto a questa tesi, a fine serata Florent mi ha convinto a provare e ci siamo lasciati col proposito che anch’io avrei sperimentato questa tecnica per valutarne l’efficacia, ripromettendoci di esaminare i risultati dell’esperimento, tra una risata e l’altra, qualche giorno dopo a cena a casa mia.
Mentre rientravo, rapita da un desiderio d’indagine quasi scientifica, non potevo fare a meno di chiedermi: se sedurre significa letteralmente condurre a sé, il che dovrebbe implicare la capacità di attirare, persuadere e guidare l’altra persona, aveva ragione Florent nell’affermare che è sufficiente prendere consapevolezza delle proprie armi seduttive? Il segreto è tutto lì? Insomma, seduttori (o seduttrici) si nasce o si diventa?
Il mattino seguente mi è sembrato quello giusto per agire: trattamento “Lendemain de fête”, pettinatura sprezzante, stile rampante da conquistatrice del mondo, fintamente understated ma sexy al punto giusto (per una volta, ho deciso di abbandonare il look casuale da claustrolesbica alla Damir Doma) e intimo di La Perla che, sebbene normalmente non si veda, a meno di incontri ravvicinati di un certo tipo, riesce come nessun’altra cosa ad amplificare le abilità seduttive di una donna. Tentando di dissimulare abilmente il mio cipiglio indagatore mi sono diretta verso la metropolitana, interrogandomi se sarei riuscita ad andare fino in fondo ed elaborando nella mia mente una possibile strategia. In quel momento, mi è venuta in soccorso una conversazione con Angelique sul comportamento femminile, secondo cui le donne sedurrebbero prima col corpo, poi con lo sguardo e, infine, con la provocazione e la sfida. Salita a St-Paul mi sono trovata a poca distanza da un trentacinquenne, impeccabile nel suo abito sartoriale, camicia bianca e cravatta grigia, anulari liberi da qualunque traccia di impegno, brizzolatura incipiente, leggermente più alto di me, occhi scuri e sguardo fiero. Dopo aver preso la mira e aver colpito il bersaglio mi sono ritratta nel mio sguardo basso e, al tempo stesso, complice; l’imperativo era incuriosire. Cercando di resistere alla tentazione di contraccambiare le sue occhiate... “Chiedo scusa. So che è inopportuno fissare una donna troppo a lungo, ma non riuscivo a farne a meno. Ad ogni modo, io sono Nicolas”. Non ero ancora arrivata neppure a George V. In quell’istante ho capito che la carta vincente è essere come si è.